13-08-2022

Storia


Detenzione di Benito Mussolini

DETENZIONE
Detenzione di Benito Mussolini

II^ - DETENZIONE:

L’autoambulanza si porto alla Caserma Podgora ma, subito dopo vennero date altre disposizioni. A tal riguardo cosi riferisce il Colonello dei Carabinieri Dott. Ettore Chirico all’Epoca Comandante la legione Allievi Carabinieri di Roma “Caserma di via Legnano”:

“Alle ore 18 del 25 luglio 1943, convocato d’urgenza al Comando Generale, vengo informato personalmente dal Generale Cerica (presenti il Col. Parziale ed il Ten. Col. Frignani) che Mussolini era stato Fermato d’ordine di Sua Maestà e in autoambulanza era stato inviato alla Caserma Podgora: però quel fesso di Linfozzi si è attaccato al telefono non sapendo cosa fare, e cosi facendo ha fatto trapelare la cosa “(sono sue parole)”. Perciò ha pensato di affidarlo a me.

“Fra dieci minuti al massimo l’autoambulanza coll’ex Capo del Governo giungerà alla Legione Allievi: disponi di conseguenza. Nel giro di 4 -5 minuti sono rientrato alla Legione ed ho preso tutte le necessarie precauzioni.

Alle 18,27 precise è arrivata l’autoambulanza.

Tutto quanto è avvenuto successivamente forma oggetto di un mio manoscritto, che custodisco gelosamente come documento di valore storico. Mussolini è rimasto affidato alla mia custodia nei giorni 25 - 26 – 27 luglio e ne è ripartito di notte, precisamente alle 22,30 di quest’ultimo giorno, preso in consegna dall’Ispettore di P.S. Saverio Polito.”

A questo punto riporto qualche dato da un resoconto del Maresciallo Maggiore Antichi Osvaldo, al Comando d’un Nucleo di carabinieri, ebbe in custodia Mussolini, all’Isola di Ponza, alla Maddalena; all’Albergo di Campo Imperatore – Gran Sasso d’Italia dal 28 luglio al 12 settembre 1943.

L’Antichi è uno di quegli esperti Marescialli dei Carabinieri che, alla sicura pratica tecnico – professionale, accoppiano una salda conoscenza, rigidamente educato e ligio ai tradizionali canoni dell’Arma.

Egli prese nota giorno per giorno di ogni particolare di rilievo ed allorquando me ne accennò, durante il periodo della LOTTA CLANDESTINA – (l’Antichi era nelle – Bande – da me organizzate gli feci redigere un preciso memoriale dal quale ripeto oggi traggo le notizie più salienti sulla detenzione di Mussolini.

Verso le ore 2 del 28 luglio, (narra l’Antichi) per ordine ricevuto personalmente dall’allora Comandante Generale dei Carabinieri Generale Angelo Cerica, con auto messami a disposizione dall’autocentro del Ministero dell’Interno; raggiunsi Gaeta, ove mi attendeva il Ten. Col. Meoli ed il Ten. Di Lorenzo, per salpare alla volta dell’Isola di ponza con alcuni sottoufficiali e carabinieri, adibiti alla custodia di Mussolini che vi era giunto la notte prima.

A Ponza Mussolini venne sistemato in una villetta isolata ad un piano. Situata in località “S. Maria” a circa 20 metri dalla spiaggia la stessa dove, durante la guerra Etiopica, venne tenuto prigioniero o Ras Immirù. Era molto abbattuto e demoralizzato il suo arrivo nell’Isola di Ponza, fu appreso con sorpresa mista ad incredulità. Quelli che ne gioirono furono i confinati politici tra i quali l’On. Zaniboni, Nenni e l’ordinanza di Re Zogu d’Albania.

Quando Mussolini si Accorse di trovarsi a Ponza si adirò, perché quivi vi erano confinati i suoi più acerrimi nemici. Cercò di farsi vedere il meno possibile. Nei primi giorni scrisse una lettera a donna ed alla sorella Edvige, senza però accennare alla località in cui si trovava. Successivamente gli giunsero da parte della moglie, lire diecimila ed alcuni indumenti di vestiario, nonché una foto del figlio Bruno che pose sul comodino. Un giorno, guardando l’immagine del figlio defunto se ne usci qua questa espressione: “Almeno tu non assisti a questi tragici eventi”.

Un altro giorno mi fece acquistare un blocco notes di formato grande sul quale poi scriveva appunti.

Il 5 agosto m’imbarcai a Ponza su una corvetta che mi portò a Gaeta donde proseguì in treno per Roma. Riferii personalmente al Comandante Generale dell’Arma, sulla situazione e sul morale di Mussolini. Il Generale Cerica, mi fece ripetere quanto gli avevo detto ad un’altra personalità della Real Casa – seppi poi trattarsi del Ministro Conte Acquarone -, il quale, dopo avermi ascoltato, si assentò per una buona mezz’ora e, ritornato disse di tenermi pronto perché si sarebbe provveduto a trasferirlo altrove. Ritornai a Ponza e il 6 successivo in serata un telegramma cifrato avvertiva che verso le ore 3 del giorno 7 un cacciatorpediniere avrebbe attraccato al largo per imbarcare Mussolini e la scorta. Mussolini e la sua scorta. Mussolini venne preavvisato del viaggio del viaggio soltanto un’ora prima. Si vesti, sorbi una tazza di latte, ed insieme, a mezzo d’una imbarcazione preventivamente disposta, raggiungemmo il - Persefone -, cacciatorpediniere rilevato ai Francese dal Porto di Tolone, cosi mi dissero i marinai che ci attendevano al largo. Era comandato dall’Ammiraglio Maugeri, dal quale Mussolini apprese che erano diretti al La Maddalena. Attraversammo il Tirreno, in burrasca e, verso le ore 13 dello stesso giorno il cacciatorpediniere attracco a La Maddalena. Un canotto, con un Ammiraglio, si avvicinò. Vi salì per primo Mussolini si irrigidì e, senza pronunciare parola, scese sul canotto. Alla banchina d’imbarco ci attendeva un’auto della Marina Militare, che ci portò a Villa Weber. Durante il tragitto, scusandomi per l’indiscrezione, chiesi a Mussolini perché era rimasto così sostenuto di fronte a quell’Ammiraglio. Mi rispose: “Poi ve lo dirò”!

A Villa Weber, edificio isolato in mezzo ad una fitta boscaglia Mussolini occupò due vani signorilmente arredati. Appena giunto chiese un bicchiere di latte: lo bevve ed andò a riposare. Verso le ore 19 mi fece chiamare: desiderava mangiare soltanto due uova, un po’ di formaggio e frutta.

Durante la consumazione del pasto mi volle, come di consueto vicino e, ricordò perfettamente che ad un certo punto mi disse: “Voi volevate sapere il perché del mio atteggiamento di fronte a quell’Ammiraglio. Anzitutto vi dico che si chiama Bruno Brivonesi, che quale Comandate della scorta ad un convoglio di carburanti diretto alle nostre truppe impegnate ai confini con l’Egitto rimase a tale distanza che gli inglesi poterono bombardalo indisturbati e distruggendolo completamente. Lo denuncia quale responsabile di tradimento, ma il Comando in Capo della Marina volle salvarlo. Mussolini parlava continuamente con noi dei suoi trascorsi, della sua partecipazione alla guerra del 1915 – 1918 e faceva vedere una cicatrice al polpaccio della gamba destra per ferita riportata in combattimento; dell’irredentismo italiano; della sua fede nel nostro popolo. Si eccitava solo contro il Re: “Dopo averlo servito fedelmente per oltre un ventennio mi ha fatto arrestare come un delinquente qualunque sulla soglia della sua abitazione”, diceva.

Era solito trascorrere il suo tempo scrivendo appunti.

Durante la permanenza a La Maddalena chiese di conferire col parroco di quella base marittima, e desiderò venisse officiata una messa nell’interno della Villa Weber.

Il 10 agosto 1943, il Ten. Col. Meoli e il Ten. De Lorenzo, vennero sostituiti dal Ten. Faiola, che rimase fino alla Liberazione.

Non si muoveva quasi mai dal suo alloggio.

Rimaneva a lungo sulla terrazza.

Con noi era sempre di buonumore, ma molto inquieto per la situazione in cui si era venuto a trovare. Temeva di essere da un momento all’altro consegnato agli inglesi. Lo dissuasi assicurandolo nel modo più assoluto che un ordine del genere non esisteva e che quindi poteva da quel lato stare tranquillo. Gli dissi anche: “Secondo il mio punto di vista, non dubito gli inglesi abbiano intenzione di farvi fuori, anche perché voi non siete compreso nell’elenco dei criminali di guerra, mentre dovreste temere i vostri connazionali e più specialmente coloro che appartenerono al P.N.F. Debbo dire a questo punto di aver provveduto all’alimentazione di Mussolini per circa un mese e quando chiesi a carico di chi doveva gravare la spesa mi fu detto che mi dovevo far rimborsare da lui in quanto egli non doveva avere l’impressione di essere trattato come un prigioniero. Mi rimborsò di quelle poche centinaia di lire, prima di partire da La Maddalena, presente il Ten. Faiola. Nei giorni che seguirono gli arrivò una cassa di legno pregiato e artisticamente lavorata, contenente una suntuosa edizione delle opere di Nietzsche. Era un dono di Hitler. Si mise subito a sfogliare i volumi con evidente speranza di trovare un scritto. Lo dissuasi di affaticarsi dicendogli che a quell’operazione si era già provveduto.

Rimanendo a La Maddalena fino a quando un velivolo tedesco la sorvolò a bassa quota, ed il pilota sporgendo un braccio agitava in segno di saluto. Eravamo sulla terrazza. Mussolini additando l’apparecchio che si allontanava disse:

“Vedete i tedeschi ci hanno già individuati”.

Temendo pertanto un colpo di mano tedesca, vennero incaricati l’Ispettore di P.S. Polito ed il Ten. Col. dei CC. di provvedere per un altro rifugio che pensarono di ricercare nell’Umbria.

Mentre i due si recavano in auto verso Perugia, l’Ufficiale dei CC. lasciò tragicamente la vita e, l’Ispettore Polito riportò la frattura di una gamba, in un incidente stradale.

Fu sostituito dall’Ispettore Generale di P.S. Comm. Giuseppe Gueli che il 27 agosto 43 con un’ottantina tra agenti e carabinieri, lasciò di buon’ora con una imbarcazione, La Maddalena e si portò alla stazione base – funivia per il Gran Sasso – d’Italia, - in una villa allestita per custodire Mussolini.

Il quale scortato dal Ten. Faiola e dal Maresciallo Antichi, a mezzo di un idrovolante della Croce Rossa ammarò nel lago di Bracciano, e dal questo lago raggiunse suddetta base.

I carabinieri dovevano essere poco più di una quarantina, come si rileva da un documento frammentario essendo andato distrutto il ruolino nominativo. La vigilanza era integrata da un posto di blocco fisso sulla strada Assergi – Base Funivia per il controllo del traffico.

Come ben può comprendersi, tale località prossima all’Albergo di Campo Imperatore, in pieno turismo, data la stagione estiva, attrasse ben presto l’attenzione dei gitanti, per l’inusitato numero di agenti e carabinieri, in una località di nessuna importanza strategica come quella. Si venne, perciò, nella determinazione di requisire l’albergo e farlo sgombrare dai civili che l’occupavano, trasferendovi nel pomeriggio dal 6 settembre Mussolini col relativo seguito di agenti e carabiniere.

Quivi occupò un appartamento di due camere ed accessori. Vi rimase fino alle ore 14 del 12 settembre 43. È inutile dire che l’albergo presentava tutte le comodità moderne. Durante la permanenza a Campo Imperatore Mussolini, non lasciò l’alloggio che pochissime volte, per fare qualche passo poco distante dal caseggiato. Un giorno, mentre passeggiavamo lungo il piazzale antistante l’Albergo, il Comm. Gueli, premettendo le scuse per la indiscrezione chiese a Mussolini se era vero che l’ultima seduta del Gran Consiglio si svolse tra insulti e vivaci proteste. Egli rispose che era stata una seduta piuttosto accesa e che mai poteva pensare che si sarebbe risolta così tragicamente. Disse che dopo una lunga discussione ed una filippica piuttosto violenta di Grandi, ebbe ragione di precedenza l’ordine del giorno creato da costui in anticipo e che lui stesso presentò come quello che conteneva più firme. Vennero scartati gli altri, tra cui quello presentato dal segretario del Partito, Carlo Scorza. Costui durante la votazione, forse presago che qualche cosa di grave poteva accadere, propose che la seduta venisse sospesa e ripresa l’indomani. Mussolini si oppose e volle che si andasse fino in fondo con l’esito a tutti noto. Si adirò contro Ciano, De Bono e Bottai, tacciandoli da perfidi traditori e da ambiziosi. La sera la trascorreva giocando a carte. Mussolini non dissimilava la sua allegria, mettendo in celia il perditore; Il giuoco preferito era la briscola o la scopa.

“Un giorno, il maresciallo Antichi, che mi fece chiamare da uno dei carabinieri della scorta, perché gli tenessi compagnia mi disse: “Non so se sono io il prigioniero oppure siete voi.”

Parlando della caduta del regime e dell’abolizione degli emblemi fascisti che andavano togliendo dappertutto disse: “Possono togliere tutti gli emblemi che vogliono, ma non potranno mai distruggere le opere create dal fascismo”.

Parlando della guerra si dichiarò convinto sulla necessità del conflitto che d’altra parte era stato voluto anche dal Re e dal popolo. A questo punto gli feci presente che la guerra in realtà dal popolo non era sentita. Mi guardò con sorpresa e mi disse: “Come fate a dire ciò se le dimostrazioni del popolo in favore della guerra furono palesi” ?. Gli risposi con tutta franchezza: “Non illudetevi perché le adunate avevano luogo a base di cartoline di precetto ed i frenetici applausi avvenivano in seguito a cenni del Segretario del partito che vi stava alle spalle;.

Circa un mese prima della entrata in guerra vi fu consegnato un memoriale che constava di alcune pagine dattiloscritte e vi si rappresentavano chiaramente la scarsezza del materiale bellico: dell’equipaggiamento militare; nonché della mancanza di entusiasmo da parte della truppa nelle cui file serpeggiavano grave malcontento per la differenza di trattamento economico tra esercito e milizia. Questo memoriale voi lo cestinaste dicendo; “Questa guerra, volenti o nolenti si deve fare”. Se aveste dato ascolto si sarebbe potuto evitare anche perché i tedeschi senza l’appoggio dell’Italia non si sarebbero mossi. Ne è la riprova il fatto che quando essi tentarono di annettersi l’Austria, all’epoca di Dolfis, in seguito all’intervento da voi ordinato si ritirarono in buon ordine.

Dopo la creazione dell’Impero a voi non mancava modo per ritirarvi dalla vita politica ed avreste indubbiamente conservato il vostro piedistallo. Un Governo democratico avrebbe indubbiamente conservato l’Italia quale era. Successivamente mi domando come potevo sapere ciò. Gli risposi che a quel memoriale vi era anche una parte del mio lavoro e la mia collaborazione. Dopo una pausa di silenzio, mettendomi una mano sulla spalla mi disse: “Caro antichi, bisognerebbe poter vivere due volte”.  Continuai nei vostri discorsi avete sempre detto che volevate vi si dicesse sempre ed ovunque la verità per intero; ma purtroppo la verità vi venne sempre celata dal vostro contorno che era sempre bramoso di dirvi che tutto andava bene, anche quando le cose andavano male. Sappiate che in 20 anni di regime siete stato lontano dal vero popolo che in tutte le adunate oceaniche era quasi sempre assente; in quanto esse erano costituite da inviti preventivi e dalla presenza della milizia in generale. La riprova sta nel fatto che la notte dal 25 al 26 luglio 43 il popolo invase e distrusse le sedi fasciste senza che un sol milite si fosse ribellato. Per dimostrarvi la verità di quanto vi dico cito alcuni esempi: Quando andaste ad inaugurare la prima trebbiatrice nelle paludi Pontine, ad un certo momento la trebbiatrice che era in funzione, si fermò e voi veniste allontanato immediatamente perché si sospettò che alla macchina fosse stato collocato qualche ordigno esplosivo. Sappiate gli addetti alla trebbiatrice erano militi e benché fossero stati in precedenza istruiti, erano comunque poco pratici. Altro particolare è quello della inaugurazione della grande arteria libica. Nella circostanza vi venne consegnata una sciabola d’oro. Sappiate che quella sciabola venne fabbricata a Firenze e vi venne offerta da un sottufficiale dei carabinieri vestito da arabo. Mi rispose: “Che la sciabola fosse fabbricata a Firenze mi era noto, ma che mi venisse offerta da un falso arabo, lo ignoravo”.

Dopo una pausa di silenzio disse: “Del resto non ho nulla da rimproverarmi. Ho cercato di fare per gli italiani quel che ho potuto. Sono riuscito a creare un Impero e tutti ne erano entusiasti. Ma quello più entusiasta era il Re divenuto Imperatore. Sono stato generoso con tutti ed in fatto di sussidi sono stato largo anche con i miei più feroci nemici, nessuno escluso, compreso Malatesta che sovvenzionavo mensilmente e dal quale però in verità non ebbi molestie. Molto sono coloro che mi odiano per rivalità od invidia e tra questi ne annovero una buona parte anche tra coloro che mi erano più vicini ed anche tra i miei collaboratori. Due giorno prima della disfatta militare, nelle prime ore del mattino, il carabiniere di sentinella alla porta di Mussolini, mi fece chiamare urgentemente. Mi recai in fretta da lui perché Mussolini aveva tentato di tagliarsi i polsi con una lametta Gillette che gli aveva consegnato una lettera. Mi recai immediatamente presso Mussolini, non senza avvertire della cosa il Ten. Faiola. Trovai Mussolini con le mani insanguinate e con una ferita in ambo i polsi. Provvidi immediatamente stringerli i polsi con una benda onde fermare l’emorragia.

Le lesioni non erano gravi (scalfitture), e si poté evitare il peggio. Successivamente Mussolini si pentì dell’atto, e pregò di non dar peso alla cosa. La lettera rimase in possesso del Ten. Faiola. Giungemmo cosi all’8 settembre 43 giorno della resa incondizionata dell’Esercito Italiano. Attraverso la radio mobile del Ministero dell’Interno che avevamo alla base del Gran Sasso, tentammo invano di avere una qualunque notizia con qualsiasi Autorità civile o militare.

Provammo ad allacciare conversazione col Ministero dell’Interno, con quello della Guerra e persino con quello della Real Casa, ma inutilmente. Nessuno rispondeva più e le notizie erano confuse.

Rimanemmo isolati ed in estenuante attesa.


Trascritto Edoardo Zucca


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