13-08-2022

Storia


Arresto di Benito Mussolini

ARRESTO
Arresto di Benito Mussolini

I°) – ARRESTO.

 

Non si possono trattare le vicende dell'Arma dall' 8 settembre 1943 in poi senza tener conto del rilevante episodio che ne costituisce il preludio e cioè senza ricordare quel fatidico 25 luglio la cui data segna virtualmente la fine del ciclo mussoliniano e l’inizio d’un nuovo periodo per il nostro martoriato paese.

Se è vero che l'arresto di Mussolini fu voluto e concertato "in alto loco” sotto la spinta di inarrestabili eventi, è altresì e vero che tale fermo non sarebbe stato possibile o, quanto meno, avrebbe scatenato una cruentissima reazione da compromettere o ritardare la riscossa costituzionale se i carabinieri incaricati della difficilissima operazione non l'avessero predisposta, diretta ed attuata con mirabile energia.

A tanta distanza di tempo, in cui s'è già perduta a nozione del dettaglio ed è svanita la coscienza del pericolo, emergono sempre meglio i contorni dell'azione dei protagonisti che, per forza di tradizione e per provata solidità morale, seppero affrontare le più disperate e pericolose situazioni con fedeltà ed onore. 

Né le complicazioni che ne seguirono, tra cui la partenza dell'ex duce da Campo Imperatore e la forza della conclamata repubblica sociale italiana, sminuiscono l'importanza ed il merito della singolare operazione. Infatti, Come ho già detto, la cattura di Mussolini segnò il crollo fatale di una costituzione che era di già seriamente minata dalle fondamenta e che, qualunque cosa fosse avvenuta, non sarebbe più risorta dalle sue immani macerie.

 

Fu appunto il successo dell'impresa a segnare irreparabilmente il destino dei due maggiori artefici che più tardi scontarono col Martirio delle Ardeatine, il compimento d'una audace storico dovere al servizio del paese.

 

L’ARRESTO:

 

Giovanni Frignani – Raffaele Aversa e Paolo Vigneri: ecco per la storia, i nomi dei tre ufficiali dell’Arma che affrontarono la tremenda responsabilità di arrestare l’uomo al cui illimitato potere aveva dovuto soggiacere per oltre vent’anni il popolo italiano.

E con i tre suddetti ufficiali era la schiera dei loro dipendenti: sottoufficiali e carabinieri che, fedeli pedine del rischiosissimo gioco, diedero tutta la loro modesta ma efficace cooperazione.

I Capitani Aversa e Vigneri, rispettivamente comandanti delle compagnie della Capitale: la Tribunale, l’Aversa e l’Interno al Vigneri, vennero telefonicamente convocati, verso le ore 14 del 25 luglio, nell’ufficio del tenete colonello Frignani, comandante del gruppo da cui dipendevano.

Malgrado l’odore di crisi acuta che tutti fiutavano nell’area dopo quanto era trapelato dalla drammatica seduta del Gran Consiglio del fascismo della notte innanzi, essi si affrettarono verso il luogo del convegno senza nulla presagire di quello che si voleva da loro. Già le chiamate del genere si son fatte sempre più frequenti in quel periodo così gravido ed inquietante sia per il rapido progredire dell’invasione del territorio nazionale da parte delle armate alleate sbarcate in Sicilia e sia per il bombardamento aereo di appena pochi giorno prima, del quartiere S. Lorenzo che tanto aveva terrorizzato la popolazione della Capitale. Lo confermavano i rapporti agli ufficiali ed al personale in generale erano diventati sempre più frequenti, per non dire quasi quotidiani.

Dal Comando Generale frattanto era stato diramato l’ordine di tenere consegnati, dalle ore 16 in poi, tutti i militari dell’Arma, in attesa d’una autorevole visita nelle rispettive caserme dell’Urbe.

Alla sede del Comando di Gruppo in viale Liegi, dove giunsero separatamente sia il Tenete Colonello Frignani che i due capitani, si trovavano già al il Comandante Generale dell’Arma Angelo Cerica ed il Commissario di P.S. Carmelo Marzano - Sottotenente di Complemento dei Carabinieri – Direttore dell’auto drappello del Ministero dell’Interno. 

Il Generale Cerica, calmo pur nel pallore del viso che tradiva la sua intima commozione, fissa negli occhi i suoi dipendenti e disse all’incirca:

“Vi affido un compito di estrema gravita per il quale so di non fare invano appello al vostro alto senso del dovere. Oggi fra qualche ora anzi, voi dovete arrestare Mussolini che, messo da questa notte in minoranza nella seduta del Gran Consiglio del fascismo, si recherà dal Sovrano è sarà sostituito nelle funzioni di Capo del Governo….”

Nessuna consegna forse apparve più ardua di questa ai bravi ufficiali che tuttavia senza batter ciglio risposero, quasi ad una sola voce ed in tono fierissimo, con due parole “Sta’ bene…”

Si appartarono poi in un’altra stanza dell’ufficio del Gruppo ed il tenente colonello Frignani espone, illustrò e commento nei più minuti particolari ai due capitani, le modalità esecutive dell’ordine ricevuto.

Poco dopo giunsero in viale Liegi il Questore Morazzini, addetto alla Real Casa, in autoambulanza con a bordo, oltre al conducente, tre agenti di P.S. in abito civile, armati di mitra ed un automezzo destinato al trasporto dei militari dell’Arma.

In attinenza alle precise istruzioni concretate, i Capitani Aversa e Vigneri con i due automezzi si portarono al Gruppo Squadroni nella vicina caserma Pastrengo e fecero approntare un plotone di 50 carabinieri che asseritamente dovevano rimanere agli ordini dell’Aversa per ricercare, affrontare e catturare nuclei di paracadutisti alleati lanciati nei dintorni di Roma.

Il pretesto, giacché di pretesto si trattava, al fine di evitare ogni possibile indiscrezione che avrebbe potuto nuocere alla massima segretezza della missione predisposta, era facilmente accreditato dalle circostanze del recente bombardamento aereo della Capitale. Nessuno pensava minimamente a vicende diverse. Soltanto si chiedevano maggiori particolari d’impiego e questi venivano dati con pronta disinvoltura lavorando di fantasia.

Il Capitano Vigneri, al quale il superiore aveva commesso in termini drastici la consegna di – catturarlo vivo o morto – scelse personalmente, tra i militari del Gruppo Squadroni tre sottufficiali di particolare prestanza fisica e di pronta intelligenza che avrebbero dovuto prestargli man forte, in caso di necessità, prima di ricorrere ultima ratio alle armi; precisamente i vicebrigadieri: Bertuzzi Domenico; Gianfriglia Romeo e Zenon Sante. Essi si dimostrarono subito animati da ferma volontà ed assai lusingati del favore della scelta.

I militari salirono sull’autocarro che viene chiuso accuratamente col tendone, mentre i due capitani, i tre vicebrigadieri e i tre agenti di P.S. presero posto nell’autoambulanza che viene anch’essa chiusa ed più gli sportelli coi vetri smerigliati. I due automezzi, senza che nessuno, ad eccezione dei due capitani, ne conosceva la destinazione, si dirigevano alla volta di Villa Savoia preceduti dalla vetture del Questore Morazzini, che, data la minuta conoscenza dei luoghi, si è assunto il compito di far entrare il convoglio nell’interno della residenza reale. Dopo una brevissima sosta al cancello di via Salaria vengono ancora percorsi un centinaio di metri e gli automezzi si arrestano. Il Questore Morazzini, come d’intesa, picchia ai vetri dell’ambulanza per avvertire i due capitani che si è giunti nel luogo stabilito. Essi discendono ed altrettanto fanno i loro dipendenti che si silenziosi, ma visibilmente commossi di trovarsi nel parco di una Villa.

Il Questore Morazzini da alcune sommarie indicazioni sulla topografia della località, che bastano ad orientare i due ufficiali in rapporto ai loro compiti. Il punto dove ora essi si trovano è nel lato settentrionale della Villa reale, cioè nella parte opposta all’ingresso principale, dove fra breve dovrà entrare Mussolini.

È qui che si deve aspettare il momento di agire. Il Questore stringe calorosamente la mano agli ufficiali con atteggiamento di favorevole auspicio e si allontana da quella parte che costituirà la scena del dramma imminente.

Lo spettacolo inusitato apparso così all’improvviso, non sfugge a chi sta nell’interno della Villa. Qualche viso s’intravede dietro le finestre del primo piano, protette da fitte reticelle metalliche, ma per un solo attimo; poi l’ombra scompare. Un famiglio sbucato tra gli alberi del parco si arresta all’improvviso e sta quasi per tornare indietro, incerto e foss’anche un po’ smarrito.

Sotto il sole infuocato e nel silenzio inusato del meriggio gli ufficiali riuniscono il personale in un piccolo cerchio ed il Capitano Vigneri rivela loro, a bassa voce, e finalmente, la grande consegna. S’impartiscono rapidamente le istruzioni di dettaglio. Poi torna il silenzio, rotto solo da un sordo acciottolio proveniente dalle non lontane cucine reali. I carabinieri, che in un primo tempo nella caserma Pastrengo avevano accolto con qualche perplessità l’annuncio fittizio del rastrellamento dei paracadutisti lanciati dagli aerei nemici, ora intuiscono di essere i modesti protagonisti d’un grande evento, si rianimano commossi, bisbigliano tra loro qualche commento, ma si mostrano seriamente decisi, pronti e risoluti.

L’attesa è tuttavia snervante. I due Capitani, compagni d’accademia e vecchi amici, si scambiano qualche impressione e, reciprocamente, si ripetono i dettagli dell’impresa imminente. Giunge finalmente com’era atteso – Il Ten. Colonello Frignani, che veste l’abito civile. Avverte i due ufficiali che Mussolini, il quale aveva avuto in precedenza fissata l’udienza dal Sovrano, arriverà in ritardo sull’ora prevista.

Entra poi nella villa dall’ingresso secondario – a levante – per prendere gli ultimi accordi con i funzionari della Real Casa e, dopo qualche minuto, ritorna presso i suoi uomini.

Si dimostra però turbato e contrariato perché vi sarebbero delle riluttanze per l’arresto del Duce sulla soglia della Villa Reale. Tuttavia si ricompone subito, deciso e risoluto, esclama: “NOI IN OGNI CASO LO ARRESTIAMO UGUALMENTE”. Il Ten. Colonello Frignani ha nelle vene sangue generoso, che più tardi bagnerà il Luogo Sacro del Martirio Ardeatino. Egli sente indubbiamente la passione dell’ora che volge: egli intuisce la necessità di non dare tempo al Capo del Governo spodestato di riaversi dal duro colpo e di scatenare o tentare di scatenare un movimento di reazione, le cui conseguenze potrebbero riuscire fatali per il nostro paese. Ma, da vero soldato, si rende conto che è indispensabile saper frenare i generosi impulsi del cuore ad agire con tempestiva ponderatezza. Rientra di nuovo nella Villa e ne esce poco dopo con la notizia che Mussolini si trova ancora a colloquio col Sovrano e che l’arresto si farà. Ma non c’è tempo da perdere ormai. Il questore Marazzini intanto, col pretesto di una urgente chiamata telefonica, ha attirato in un punto lontano dalla Villa l’autista del duce, che così è stato immobilizzato.

 I cinquanta carabinieri vengono lasciati sul lato settentrionale dell’edificio, pronti ad accorrere al primo cenno, mentre i due capitani, i tre vicebrigadieri e i tre agenti di P.S. armati di mitra si portano sul lato orientale. Si fa avanzare l’autoambulanza fino a pochi metri dall’ingresso dal quale uscirà Mussolini, ma in modo da non essere notata.

Proprio nell’angolo sta fermo un famiglio fidato con la consegna di allontanarsi allorché il Capo del Governo comparirà in cima alle scale. È questo segnale convenuto per agire.

Sullo stesso lato, a ridosso della siepe, è in sosta fuor vista, la macchina di Mussolini. A pochi metri di distanza il Capitano Vigneri dispone i tre agenti di P.S. con le armi pronte e con l’ordine di intervenire soltanto in caso di necessità e sempre al primo cenno. Poi, insieme al collega Aversa, si colloca di fronte, preso il muro della Villa, con a tergo i tre sottufficiali.

Una ventina di metri più indietro sostano il Ten. Colonnello Frignani ed il Questore Morazzini, i quali si avvicineranno solo quando Mussolini sarà salito sull’autoambulanza.

Ad un certo momento il famiglio si allontana. È l’ora. Il piccolo gruppo, formato dai due capitani e dai tre vicebrigadieri, avanza e – quasi contemporaneamente – si scorge il duce – mentre discende gli ultimi gradini della scalinata insieme al suo segretario particolare De Cesare. Vestono entrambi l’abito scuro: Mussolini con un completo blu ed il cappello floscio.

Egli deve aver notato all’ultimo istante l’insolito apparato, tanto che trasalisce visibilmente.

Il capitano Vigneri gli va incontro e, stando sull’attenti, dice: “DUCE IN NOME DI S.M. IL RE VI PREGHIAMO DI SEGUIRCI PER SOTTRARVI AD EVENTUALI VIOLENZE DA PARTE DELLA FOLLA.”

Mussolini allarga le mani nervosamente serrate su una piccola agenda e con tono stanco, quasi implorante, risponde:

“” MA NON C’E’ N’E’ BISOGNO!””

Il suo aspetto è quello d’un uomo moralmente finito, quasi distrutto: ha il colorito del malato e sembra persino più piccolo di statura.

- ”E’ DUCE – riprende il capitano Vigneri “ IO HA UN ORDINE DA ESEGUIRE.”

- “ALLORA SEGUITEMI” risponde Mussolini e fa per dirigersi verso la sua macchina.

Ma l’ufficiale gli si para dinnanzi:

“NO, DUCE” – gli dice – “BISOGNA VENIRE CON LA MIA MACCHINA.”

L’ex Capo del Governo non ribatte altro e si avvicina verso l’ambulanza, col capitano Vigneri alla sua sinistra; segue De Cesare, con a fianco il capitano Aversa.

Dinnanzi all’ambulanza Mussolini ha un attimo di esitazione, ma Vigneri lo prende per il gomito sinistro e lo aiuta a salire. Siede sul sedile di destra.

Sono esattamente le ore 17,20.

Dopo, sale De Cesare e si mette a sedere di fronte al suo capo.

Quando anche i sottoufficiali e gli agenti si accingono a montare, il Duce protesta: “ANCHE GLI AGENTI?! NO!!”

Vigneri allarga le braccia come per fagli capire che non c’è nulla da fare e, rivolgendosi deciso ai suoi uomini, ordina: “” SU RAGAZZI, PRESTO!!””

Anche i due capitani salgono. Nell’ambulanza ora si è in dieci e si sta stretti. Il Questore Morazzini si avvicina e, prima di chiudere la porta dall’esterno avverte che si uscirà da un ingresso secondario e che il famiglio accompagnerà l’automezzo sino all’uscita.

La macchina si muove, mentre l’autocarro con il plotone di cinquanta carabinieri rimane fermo. Ormai non c’è più bisogno di loro. Anche la missione del Ten. Colonello Frignani e dei capitani Vigneri e Aversa è finita.

L’uomo, già potente e temuto, va incontro al suo fatale destino anche se ritardato da illusori eventi.

Ma anche due dei tre bravi subordinati vittime purissime del dovere no predestinate al Martirio.

 


Trascritto Edoardo Zucca


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